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E' stato il figlio | |
di Marzia Gandolfi
(mymovies)
Busu è un vecchio signore a cui piace raccontare
storie. Seduto nell'ufficio postale della sua città intrattiene gli
avventori, qualcuno appassionato, troppi distratti. Più di tutti ama
riferire l'avventura e la sventura della famiglia Ciraulo, colpita al
cuore da un lutto. Nicola, il capofamiglia, recupera ferrame dalle navi
in disarmo in compagnia del vecchio padre e del figlio. Dentro una casa
modesta lo aspettano ogni sera la madre, la moglie e l'adorata Serenella
che un proiettile vagante, esploso durante un regolamento di conti,
uccide tragicamente. Inconsolabile, Nicola ritrova improvvisamente senso
e speranza inseguendo la possibilità di un risarcimento, legittimo
riconoscimento dello Stato alle vittime della mafia. Tra debiti e
ingorghi burocratici, i Ciraulo provano a immaginare quale desiderio
potrebbe appagare la loro 'fame' atavica. Liquidati finalmente decidono
intorno al tavolo di investire il capitale ormai ridotto in
un'automobile, la più bella che si sia mai vista in città. Ma quella
Mercedes, 'presidenziale', luccicante e benedetta con acqua santa e
segno della croce, finirà per diventare il simbolo della tracotanza e di
una violazione che gli 'dei' non mancheranno di punire.
Ispirato dalle pagine di Roberto Alajmo, Daniele Ciprì torna al cinema senza Franco ma con Maresco. Senza l'amico ma col coAutore. L'insostenibile crudeltà dei ragazzi terribili di Cinico Tv, che seduceva l'occhio mentre pervertiva i cardini del comune senso del pudore estetico, nel cinema 'scompagnato' di Ciprì è moderata nella forma ma inalterata nel soggetto. Riconfermando l'universo espressivo e la radicalità etnico-linguistica e governando l'esasperazione estetica e lo spirito avant-garde, il regista palermitano declina al passato una tragedia moderna intorno all'uomo agito solo dalla sua volontà di godimento, senza limiti, senza vincoli. Il Nicola di Toni Servillo incarna un'umanità squassata, sgretolata, irriducibilmente comico-tragica, che desidera un appagamento immediato, assoluto, privo di ancoraggi simbolici e destinato a condannare la propria prole. Nel film di Ciprì, superbamente interpretato da attori professionisti e maschere reali, ogni inquadratura arriva quasi a tradimento, come una fitta lancinante, svolgendo una tragedia familiare dentro una realtà prima grottesca e poi disperatamente tragica. La famiglia Ciraulo ha violato la legge divina e immutabile, si è macchiata di tracotanza, riempiendo il dolore della perdita con un bene materiale, destinato a influenzare in maniera negativa il loro presente.
Ambientato nella periferia di Palermo, ma girato a Brindisi, È stato il figlio è una storia che ne racconta un'altra, scandita dal susseguirsi dei numeri luminosi di un ufficio postale, dove un sordomuto 'coi pugni in tasca' ascolta un uomo svolgere il suo dramma dentro periferie desolate, cieli incupiti, soli spenti, deserti di solitudine. Frammenti sparsi che riferiscono di una dissoluzione sociale, esistenziale ma soprattutto antropologica, che spappola l'identità, liberando il lato selvaggio e disintegrando la figura umana. Più ciechi di Tiresia, donna e uomo, vecchio e bambina di faccia a edifici ghiacciati in una fissità lunare, i Ciraulo si nutrono di una notte senza fine imponendo, attraverso la nonna Rosa di Aurora Quattrocchi, la propria legge sopra la norma sociale. E quello che avviene dentro poi accade fuori, i personaggi finiscono inghiottiti dal paesaggio urbano, partecipi della sua distruzione e della sua residualità: una macchina corrosa dalla ruggine, relitto informe di un bisogno paranoico di benessere.
Ispirato dalle pagine di Roberto Alajmo, Daniele Ciprì torna al cinema senza Franco ma con Maresco. Senza l'amico ma col coAutore. L'insostenibile crudeltà dei ragazzi terribili di Cinico Tv, che seduceva l'occhio mentre pervertiva i cardini del comune senso del pudore estetico, nel cinema 'scompagnato' di Ciprì è moderata nella forma ma inalterata nel soggetto. Riconfermando l'universo espressivo e la radicalità etnico-linguistica e governando l'esasperazione estetica e lo spirito avant-garde, il regista palermitano declina al passato una tragedia moderna intorno all'uomo agito solo dalla sua volontà di godimento, senza limiti, senza vincoli. Il Nicola di Toni Servillo incarna un'umanità squassata, sgretolata, irriducibilmente comico-tragica, che desidera un appagamento immediato, assoluto, privo di ancoraggi simbolici e destinato a condannare la propria prole. Nel film di Ciprì, superbamente interpretato da attori professionisti e maschere reali, ogni inquadratura arriva quasi a tradimento, come una fitta lancinante, svolgendo una tragedia familiare dentro una realtà prima grottesca e poi disperatamente tragica. La famiglia Ciraulo ha violato la legge divina e immutabile, si è macchiata di tracotanza, riempiendo il dolore della perdita con un bene materiale, destinato a influenzare in maniera negativa il loro presente.
Ambientato nella periferia di Palermo, ma girato a Brindisi, È stato il figlio è una storia che ne racconta un'altra, scandita dal susseguirsi dei numeri luminosi di un ufficio postale, dove un sordomuto 'coi pugni in tasca' ascolta un uomo svolgere il suo dramma dentro periferie desolate, cieli incupiti, soli spenti, deserti di solitudine. Frammenti sparsi che riferiscono di una dissoluzione sociale, esistenziale ma soprattutto antropologica, che spappola l'identità, liberando il lato selvaggio e disintegrando la figura umana. Più ciechi di Tiresia, donna e uomo, vecchio e bambina di faccia a edifici ghiacciati in una fissità lunare, i Ciraulo si nutrono di una notte senza fine imponendo, attraverso la nonna Rosa di Aurora Quattrocchi, la propria legge sopra la norma sociale. E quello che avviene dentro poi accade fuori, i personaggi finiscono inghiottiti dal paesaggio urbano, partecipi della sua distruzione e della sua residualità: una macchina corrosa dalla ruggine, relitto informe di un bisogno paranoico di benessere.
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