SALA ARANCIO
incontri al CINEMA
dell'Associazione Culturale Quintiliano

venerdì 15 aprile 2011

Lunedì 18.04.11 ore 19.45


CINEMA FRATELLI MARX
Corso Belgio, 53 - Torino. Telefono: +39 0118 121 410  mappa» 
Habemus Papam
Un film di Nanni Moretti. Con Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli.
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Commedia, durata 104 min. - Italia, Francia 2011. - 01 Distribution 
 di Giancarlo Zappoli (mymovies)    
I cardinali riuniti in Conclave nella Cappella Sistina procedono all'elezione del nuovo Papa. Smentendo tutti i pronostici viene nominato il cardinale Melville il quale accetta con titubanza l'elezione ma, al momento di presentarsi alla folla dal balcone centrale della basilica di San Pietro, si ritrae. Lo sgomento assale i cristiani in attesa ma, ancor più, i cardinali che debbono cercare di porre rimedio a questo evento mai verificatosi sotto questa forma. Si decide, pur con tutte le perplessità imposte dalla dottrina, di far accedere ai palazzi apostolici lo psicoanalista più bravo per tentare di far emergere le cause che hanno spinto l'alto prelato al diniego e favorirne un ripensamento. Lo psicoanalista fa però un riferimento alla moglie come la terapeuta più brava (dopo di lui). Il portavoce della Santa Sede decide allora di far uscire il Papa dalle Mura vaticane per avere anche un altro intervento che risolva la questione. Che invece si complica perché il Papa, approfittando di un momento di distrazione, scompare per le vie di Roma.
Con Habemus Papam siamo di fronte al film più maturo di un regista che ha saputo conservare intatti il proprio segno inconfondibile e le tematiche che gli stanno da sempre a cuore integrandoli con grande intelligenza e sensibilità a uno sguardo che si allarga a una dimensione che afferma di non condividere ma che qui osserva con la giusta dose di ironia che si fonde con un profondo rispetto.
Non è necessario fare riferimento a La messa è finita per leggere questo film. Erano altri tempi ed altro cinema. Anche per Nanni. Che qui torna con forza sul tema della profonda solitudine dell'essere umano ma sa che non la si può ipostatizzare assolutizzandola. C'è una bellissima scena (che potremmo definire ‘morettiana doc') in cui, mentre sta facendo giocare i cardinali a pallavolo, l'analista afferma che la tremenda verità che Darwin ci ha lasciato è che nulla ha un senso. Proprio in quel momento lui, terapeuta privo dell'augusto paziente, sta cercando di darne uno a quegli uomini che non vengono descritti né alla Dan Brown né ridicolizzati. Si sorride e si ride certo anche delle loro debolezze ma sono e restano delle persone. Il Papa poi (interpretato da un sempre più grande Michel Piccoli) non è un uomo che dubita della propria fede come sarebbe stato facile pensare. Non è Pietro che, invitato da Cristo a camminare sull'acqua per raggiungerlo, affonda perché di fatto non crede al potere del suo Signore. Questo Papa, dallo sguardo intenso e dal sorriso luminoso, non è un pavido ma un umile. Conosce i propri limiti e anche le proprie passioni. Come quella del teatro che ha covato da sempre (qui il rimando, cambiato di segno, a Wojtyla sembra trasparente). È da questa consapevolezza che, progressivamente, gli deriva una grande forza. La forza di chi sa dire di no a Dio non per paura ma perché è convinto di non poterlo servire, attraverso l'umanità, come sarebbe necessario leggendo i segni dei tempi. Il Papa di Moretti si interroga e ci interroga, laici e credenti. Ogni volta che un film ci pone dei quesiti di fondo ci aiuta di fatto a sentirci meno soli e a liberarci, almeno un po', dal più volte citato "deficit di accudimento".

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domenica 10 aprile 2011

Mercoledì 13.04.11 ore 20


Cinema Romano Galleria Subalpina
- Torino. 
Telefono: +39 0115 620 145 
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 La fine è il mio inizio 

 Un film di Jo Baier. Con Bruno Ganz, Elio Germano, Erika Pluhar, Andrea Osvart, Nicolò Fitz-William Lay Titolo originale Das Ende ist mein Anfang. Drammatico, durata 98 min. - Germania, Italia 2011. - Fandango

di Nicoletta Dose  (mymovies)   



Mancano poche settimane alla fine. Tiziano Terzani, da tempo malato di cancro, sta per morire. Mentre raccoglie i suoi ultimi pensieri, tra salutari risate e umane preoccupazioni, decide di richiamare il figlio Folco da New York per trascorrere con lui, nella sua casa di campagna, un momento di confronto confessionale. Quei dialoghi, registrati con devoto impegno dal figlio, diventeranno il libro “La fine è il mio inizio”.
Il film di Jo Baier è un atto di coraggio che sfida le dure leggi dell’intrattenimento perché è un’opera fatta di parole, silenzi e sguardi, pochi movimenti agitati e tante inquadrature delicate. Chiusi, e allo stesso tempo liberi, nella casa di campagna del giornalista, i protagonisti sono in burrasca, attendono con controllata pacatezza un dolore annunciato. Ma il desiderio di ribellarsi ad un programma stabilito di sofferenza viene incanalato in un senso più ampio di pace. La confessione arguta di un uomo che ripercorre, episodio dopo episodio (l’incontro con la moglie Angela, gli aneddoti sui due figli), paese dopo paese (Cina, Vietnam, Singapore), tutte le più grandi esperienze della sua vita, investe il figlio della responsabilità di registrare tutto perché, mentre il corpo se ne va, l’animo continui a vivere nella memoria di chi rimane.
Lo spettatore deve predisporsi all’ascolto, deve calibrare i propri istinti emotivi, lasciarsi andare alla commozione ma allo stesso tempo rimanere vigile di fronte al pensiero finale di un uomo che potrebbe sembrare esoterico (il contatto stretto con la natura, la predisposizione a riflessioni sull’universo, e l’abbigliamento da ‘santone’), ma che invece evita qualsiasi tentazione new age. Anche quando racconta del volo di una coccinella sull’Himalaya o delle cavallette che ricordano primavera, il suo personale panteismo naturalistico non rappresenta mai un punto d’arrivo ma un passaggio che chiama altro sapere. E così, anche alla fine della vita corporea, non smette di curiosare tra le profondità dell’anima, tentando – e infine trovando – un modo umanamente altissimo di andarsene.
Ridere per poter morire in pace, seppur con rabbia. E morire ridendo. Abbandonarsi a ciò che accomuna tutti gli uomini con accettazione, dimostrando che si può volgere lo sguardo al passato, ripensare a ciò che si è fatto e riconoscersi: fare la vita che si desidera è fattibile, dice il padre Tiziano al figlio Folco. Bruno Ganz e Elio Germano dimostrano di aver compreso la profondità del suo pensiero e, con dedizione e rispetto, rappresentano, il primo l’ingombrante ombra di un padre straordinario ma difficile da raggiungere, il secondo l’intelligente volontà di essere diverso dal genitore, pur ammirandone lo spirito da esploratore. Un’eredità aggraziata che, in tempi di distrazione cronica e rumore generalizzato, dimostra di essere un gioiello preziosissimo.

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