SALA ARANCIO
incontri al CINEMA
dell'Associazione Culturale Quintiliano

martedì 23 ottobre 2012

Mercoledì 24.10.12 ore 19.35

Gli studenti presenti al Cinema Greenwich Village

Via Po, 30 - Torino. Telefono: +39 0118 390 123 mappa»

On the Road

      
Un film di Walter Salles. Con Kristen Stewart, Garrett Hedlund, Kirsten Dunst, Sam Riley, Viggo Mortensen.                  Titolo originale On the Road. Drammatico, - USA 2012.- Medusa
di Giancarlo Zappoli (mymovies)
Stati Uniti. Seconda metà degli Anni Quaranta. Sal Paradise, dopo la morte di suo padre, incontra Dean Moriarty che un padre ce l'ha vivente anche se non sa dove. Sal è un newyorkese appassionato di letteratura e con aspirazioni da scrittore. Dean è giovane, bello e sposato con la disinibita e seducente Marylou che tradisce con la più 'borghese' Camille. I due uomini divengono subito amici comprendendo di condividere lo stesso desiderio di una vita liberata da vincoli e regole. La strada diventa così la casa che 'abitano' con Marylou. Hanno inizio innumerevoli peregrinazioni lungo le vie degli States e del Messico alla ricerca di un modo nuovo di vivere oltre che di se stessi.
"On the Road" di Jack Kerouac è un libro che ha segnato un'intera generazione non solo sul piano letterario ma anche su quello di una ricerca di modalità di vita alternative. L'on the road è anche in fondo un genere cinematografico nel quale il viaggio diviene metafora di un movimento interiore che conduce a cambiamenti profondi. Quando in un film si rievocano poi personaggi come lo stesso Kerouac ma anche come Allen Ginsberg o William Burroughs (seppure sotto mentite spoglie) si può facilmente comprendere quanto l'operazione che prova a fondere questi elementi diventi complessa. Walter Salles ha deciso di affrontare la prova forte di almeno due altri film che implicavano l'immagine del viaggio: Central do Brasil e I diari della motocicletta. Portare sullo schermo lo spirito di ribellione di un'epoca evitando le trappole del biopic non è da tutti. La sceneggiatura si muove su una corda tesa sul baratro e riesce a conservare l'equilibrio narrativo dilatando i tempi di un film che avrebbe guadagnato da una maggiore asciuttezza. È il prezzo da pagare per descrivere la psicologia di personaggi complessi che commettono quelle che all'epoca erano considerate trasgressioni e che oggi sono viste come poco più che eccentricità. Salles si concentra sul rapporto tra Dean e Sal e sulla progressiva trasformazione di eventi e incontri in parole che non saranno più solo un diario privato ma si trasformeranno in un manifesto generazionale. Riesce così a trasmettere la sensazione, spiacevole forse ma necessaria, che per quante miglia di distanza si riescano a mettere tra se stessi e i luoghi, lo spazio che intercorre tra noi e noi stessi è sempre pari a un chilometro zero. Con tutti i tormenti e le contraddizioni che ciò comporta. In ogni epoca.
Appuntamento proposto da

martedì 16 ottobre 2012

Mercoledì 17.10.12 ore 19.35

Cinema Nazionale


Via Pomba, 7 - Torino. Telefono: +39 0118 124 173  mappa» 



Monsieur Lazhar

Un film di Philippe Falardeau. Con Fellag, Sophie Nélisse, Danielle Proulx, Jules Philip, Émilien Néron.
Titolo originale Bachir Lazhar. Drammatico, durata 94 min. - Canada 2011.
di Marianna Cappi (mymovies)
Bachir Lazhar, immigrato a Montréal dall'Algeria, si presenta un giorno per il posto di sostituto insegnante in una classe sconvolta dalla sparizione macabra e improvvisa della maestra. E non è un caso se Bachir ha fatto letteralmente carte false per avere quel posto: anche nel suo passato c'è un lutto terribile, con il quale, da solo, non riesce a fare i conti. Malgrado il divario culturale che lo separa dai suoi alunni, Bachir impara ad amarli e a farsi amare e l'anno scolastico si trasforma in un'elaborazione comune del dolore e della perdita e in una riscoperta del valore dei legami e dell'incontro.
Il film è un racconto semplice, sia dal punto di vista della struttura che dell'estetica, assolutamente naturalistica, ma suscita emozioni forti perché sembra uscito da un passato più autentico, incarnato dal personaggio del titolo, che delle nuove locuzioni per l'analisi logica non sa nulla ma conosce la sostanza, quella che non muta. Un passato, soprattutto, in cui l'insegnamento era anche iniziazione e cioè trasmissione di una passione prima che di un sapere e in cui l'abbraccio tra maestro e bambino, così come lo scappellotto, non era proibito ma faceva parte di un relazione profonda, che non poteva non contemplare anche le manifestazioni fisiche. Monsieur Lazhar è dunque un film commovente, non pietistico né moraleggiante, che riflette sulla perdita ma fa riflettere anche noi su cosa ci siamo persi per strada.
Le istanze sociali, quali il rischio di espulsione del maestro dal paese o la solitudine famigliare di molti bambini, contribuiscono al clima del film ma non sgomitano per emergere là dove non servono. Il cuore del film resta la relazione tra i bambini -Alice (Sophie Nelisse) in particolare- e il maestro, ovvero l'incontro con l'altro, la scoperta reciproca delle storie personali che stanno dietro un nome e un cognome sul registro, da una parte e dall'altra della cattedra. È questa simmetria, infatti, che, se inizialmente può suonare un po' meccanica, diviene poi responsabile della forza e della bellezza del film, specie perché il regista e sceneggiatore Philippe Falardeau non pone tanto l'adulto al livello dei bambini quanto il contrario. Posti di fronte alla necessità di superare un trauma che alla loro età non era previsto che si trovassero sulla strada, gli alunni di Bachir sperimentano il senso di colpa, la depressione e la paura esattamente come accade all'uomo, nel suo intimo.
Insegnando ai bambini e a se stesso a non scappare dalla morte, Lazhar (si) restituisce la vita. 

appuntamento proposto da

martedì 9 ottobre 2012

Giovedì 11.10.12 ore 19.45

Cinema Massimo -  Via Verdi, 18 - Torino. Telefono: +39 0118 125 606  mappa» 

Reality

 di Giancarlo Zappoli (mymovies)
    
Luciano Ciotola vive a Napoli in un palazzo fatiscente con la moglie e i figli avendo come coinquilini numerosi parenti. Gestisce una pescheria mentre con la moglie ha attivato un traffico illegale di prodotti casalinghi automatizzati. Luciano ha una vocazione per l'esibizione spettacolare così il giorno in cui i familiari lo sollecitano a partecipare a un casting de ¨"Il Grande Fratello" non si sottrae. Entra così in una spirale di attese che trasformerà la sua vita.
Matteo Garrone ha dichiarato "Dopo Gomorra volevo fare un film diverso, volevo cambiare registro così ho deciso di tentare la via della commedia". Sul piano formale ha sicuramente affermato il vero ma su quello del contenuto profondo non è così. Reality è, anche se potrebbe sembrare impossibile, un film ancora più tragico di Gomorra. Perché se la camorra è un fenomeno delinquenziale nei confronti del quale si sono prodotti, in vasti strati della popolazione, i necessari anticorpi non altrettanto è avvenuto nei confronti dei reality in genere. Siamo di fronte a una distorsione della percezione del reale che ha metastatizzato una vasta fascia della cosiddetta 'audience'. Non importa se in questa fase trasmissioni come quella oggetto del film o altre simili stanno subendo sensibili cali di ascolto. Ciò che conta è che il seme è stato deposto e le sue radici sono ben salde.
Attraverso le vicende di Luciano (uno straordinario Aniello Arena che ha costruito la sua professionalità attoriale in carcere) Garrone non ci racconta solo Napoli. Gira in una città che ormai conosce bene e che gli offre un ritmo recitativo che sarebbe difficile trovare altrove ma è dell'Italia tutta che ci offre uno squarcio doloroso. Sarebbe facile definire Luciano, sua moglie Maria e tutte le figure che li circondano come personaggi che sarebbero piaciuti a Eduardo ma qui si va oltre. Pirandello (con il suo confine labile tra ragione e follia) si sposa con Orwell (che finalmente vede riscattare il titolo del suo romanzo grazie all'ossessione che si impossessa del protagonista) mentre la colonna sonora di Alexandre Desplat va alla ricerca di sonorità che ci rinviano a quelle del Danny Elfman del Nightmare Before Christmas burtoniano. Perché è un incubo quello in cui precipita Luciano e in cui dissolve ciò che resta della sua famiglia e della sua vita sociale. Un incubo costruito da continue attese, da 'stazioni' come quelle della Via Crucis della Settimana Santa, cerimonia che finisce con l'acquisire un valore simbolico. Dopo non ci può essere che una resurrezione; ma quella che la civiltà dell'immagine produce può avere luogo solo in un paradiso ineluttabilmente falso. 


Appuntamento propsto da

mercoledì 3 ottobre 2012

Giovedì 04.10.12 ore 19.20


Cinema Fratelli Marx Corso Belgio, 53 - Torino. Telefono: +39 0118 121 410  mappa» 

E' stato il figlio


Un film di Daniele Ciprì. Con Toni Servillo, Giselda Volodi, Aurora Quattrocchi, Benedetto Ranelli, Alfredo Castro.
Drammatico, durata 90 min. - Italia 2012. - Fandango
di Marzia Gandolfi   (mymovies)
Busu è un vecchio signore a cui piace raccontare storie. Seduto nell'ufficio postale della sua città intrattiene gli avventori, qualcuno appassionato, troppi distratti. Più di tutti ama riferire l'avventura e la sventura della famiglia Ciraulo, colpita al cuore da un lutto. Nicola, il capofamiglia, recupera ferrame dalle navi in disarmo in compagnia del vecchio padre e del figlio. Dentro una casa modesta lo aspettano ogni sera la madre, la moglie e l'adorata Serenella che un proiettile vagante, esploso durante un regolamento di conti, uccide tragicamente. Inconsolabile, Nicola ritrova improvvisamente senso e speranza inseguendo la possibilità di un risarcimento, legittimo riconoscimento dello Stato alle vittime della mafia. Tra debiti e ingorghi burocratici, i Ciraulo provano a immaginare quale desiderio potrebbe appagare la loro 'fame' atavica. Liquidati finalmente decidono intorno al tavolo di investire il capitale ormai ridotto in un'automobile, la più bella che si sia mai vista in città. Ma quella Mercedes, 'presidenziale', luccicante e benedetta con acqua santa e segno della croce, finirà per diventare il simbolo della tracotanza e di una violazione che gli 'dei' non mancheranno di punire.
Ispirato dalle pagine di Roberto Alajmo, Daniele Ciprì torna al cinema senza Franco ma con Maresco. Senza l'amico ma col coAutore. L'insostenibile crudeltà dei ragazzi terribili di Cinico Tv, che seduceva l'occhio mentre pervertiva i cardini del comune senso del pudore estetico, nel cinema 'scompagnato' di Ciprì è moderata nella forma ma inalterata nel soggetto. Riconfermando l'universo espressivo e la radicalità etnico-linguistica e governando l'esasperazione estetica e lo spirito avant-garde, il regista palermitano declina al passato una tragedia moderna intorno all'uomo agito solo dalla sua volontà di godimento, senza limiti, senza vincoli. Il Nicola di Toni Servillo incarna un'umanità squassata, sgretolata, irriducibilmente comico-tragica, che desidera un appagamento immediato, assoluto, privo di ancoraggi simbolici e destinato a condannare la propria prole. Nel film di Ciprì, superbamente interpretato da attori professionisti e maschere reali, ogni inquadratura arriva quasi a tradimento, come una fitta lancinante, svolgendo una tragedia familiare dentro una realtà prima grottesca e poi disperatamente tragica. La famiglia Ciraulo ha violato la legge divina e immutabile, si è macchiata di tracotanza, riempiendo il dolore della perdita con un bene materiale, destinato a influenzare in maniera negativa il loro presente.
Ambientato nella periferia di Palermo, ma girato a Brindisi, È stato il figlio è una storia che ne racconta un'altra, scandita dal susseguirsi dei numeri luminosi di un ufficio postale, dove un sordomuto 'coi pugni in tasca' ascolta un uomo svolgere il suo dramma dentro periferie desolate, cieli incupiti, soli spenti, deserti di solitudine. Frammenti sparsi che riferiscono di una dissoluzione sociale, esistenziale ma soprattutto antropologica, che spappola l'identità, liberando il lato selvaggio e disintegrando la figura umana. Più ciechi di Tiresia, donna e uomo, vecchio e bambina di faccia a edifici ghiacciati in una fissità lunare, i Ciraulo si nutrono di una notte senza fine imponendo, attraverso la nonna Rosa di Aurora Quattrocchi, la propria legge sopra la norma sociale. E quello che avviene dentro poi accade fuori, i personaggi finiscono inghiottiti dal paesaggio urbano, partecipi della sua distruzione e della sua residualità: una macchina corrosa dalla ruggine, relitto informe di un bisogno paranoico di benessere. 

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